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Resistenza italiana: storie di coraggio e sacrifici sullo sfondo di un libro

E se la storia della Resistenza italiana fosse anche storia di paesaggi? L’avete mai considerato?

Avevo un paesaggio. Ma per poterlo rappresentare occorreva che esso diventasse secondario rispetto a qualcos'altro: a delle persone, a delle storie. La Resistenza rappresentò la fusione fra paesaggio e persone.

Queste parole di Italo Calvino, tratte da I sentieri dei nidi di ragno, condensano in poche righe l’essenza della Resistenza italiana: non una lotta astratta, ma un intreccio inscindibile tra uomini e donne, luoghi e sacrifici, ideali e sangue.

 

Storia della Resistenza italiana

La Resistenza italiana fu il movimento di opposizione al nazifascismo che si sviluppò tra il 1943 e il 1945, dopo l’armistizio di Cassabile dell’8 settembre 1943.

Nacque dalla reazione di gruppi di partigiani, composti da militari sbandati, antifascisti e civili, contro l’occupazione nazista e la Repubblica Sociale Italiana di Mussolini.

Gli ex soldati si unirono tra loro e a elementi della popolazione locale, dando vita alle prime bande.

L’esperienza bellica appena conclusa permise a quegli uomini di essere in grado di utilizzare le armi e organizzare efficacemente la lotta partigiana.

Nella lotta partigiana fu fondamentale la nascita, il 9 giugno 1944, del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà (CVL) su iniziativa del Comitato di Liberazione Nazionale, espressione dei partiti antifascisti.

Quest’ultimo coordinò la lotta partigiana con l’appoggio degli Alleati.

La Resistenza culminò nell’insurrezione del 25 aprile 1945, con la liberazione di Milano e Torino.

Il contributo dei partigiani fu determinante per la fine del regime fascista e la nascita della Repubblica Italiana nel 1946.

Durante il conflitto, si stima che i partigiani italiani furono circa 250.000, con oltre 40.000 caduti.

 

Storie di vita, di paesaggio e di resistenza

Come evidenziato da Italo Calvino, la Resistenza non fu solo uno scontro armato sulle colline, tra le valli nebbiose, nei borghi di pietra.

Fu la trasformazione del paesaggio in azione, del territorio in teatro di coraggio e sofferenza.

La montagna divenne rifugio e campo di battaglia, il bosco un alleato silenzioso, il fiume un confine tra la libertà e la morte.

Le contrade, i piccoli centri radunati attorno a una piazza e a un campanile, con le loro stalle e i loro fienili, furono luoghi di rastrellamenti e fucilazioni, ma anche di incontri clandestini, di cospirazioni sussurrate nel buio della notte.

La Resistenza si radicò nella terra e nella vita, già di per sé durissima, di coloro che scelsero di non piegarsi, di non restare indifferenti.

Ogni partigiano aveva un volto, un nome, una storia, che trapelava da calzini bucati, calzoni corti, unghie rosicchiate.

Erano giovani contadini, studenti, intellettuali, persino madri e padri che imbracciavano le armi con la stessa determinazione con cui stringevano tra le mani il futuro di una patria libera.

C’era chi portava ordini tra le montagne, chi stampava giornali clandestini, chi sabotava le vie di comunicazione nemiche.

C’erano donne che curavano i feriti nei fienili, che nascondevano i perseguitati sotto i pavimenti delle loro case.

 

“I ragazzi venivano da Fara ed erano cugini. Quello con i pantaloni corti aveva le unghie dei piedi blu e aveva forato i calzettoni di lana, perché gli avevano procurato un paio di scarponi troppo piccoli e non smise un secondo di massaggiarsi le dita sotto il tavolo. L’altro non faceva che rosicchiarsi le unghie delle mani, anche mentre mangiava.

Erano entrambi convinti che la guerra sarebbe finita entro l’estate.

«E secondo voi, cosa succederà quando la guerra finisce?» chiese Caterina, stupita dalla loro incrollabile fiducia nel successo.

«E chi ha tempo di pensare al dopo?» disse il più vecchio, quello che si mangiava le unghie di continuo. «Un problema alla volta. Intanto, vediamo di mandarli via».

Finita la cena, giocarono a dire cosa avrebbero fatto il giorno in cui la loro terra fosse stata liberata.

Paolo, il più giovane dei due, raccontò che voleva andare al mare. Non l’aveva mai visto. A costo di arrivarci a piedi, sarebbe arrivato a Venezia e si sarebbe buttato in acqua.

«Ma sai nuotare?» chiese Quintilio con ammirazione.

«No, ma se sopravvivo alla guerra vuoi vedere che mi fa paura l’acqua?».”

 

Questo brano tratto dal romanzo di Mara Carollo, Promettimi che non moriremo tra le sue pagine racconta di una Resistenza che fu umanità e sacrificio, sofferenza patita sulla propria pelle e perfino di perdono. Una battaglia che fu combattuta anche silenziosamente, come il dolore più atroce.

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Eppure, la Resistenza italiana fu anche speranza in un futuro migliore tutto da conquistare.

Fu la certezza che una nuova Italia poteva nascere dalle macerie, non solo materiali, ma anche morali, lasciate dal fascismo.

Il sacrificio dei partigiani non fu vano, ma il seme di una Costituzione basata sulla libertà, sulla democrazia, sulla dignità dell’uomo.

Ambientata nelle montagne venete, l’opera prima di Mara Carollo, attraverso una scrittura potente ed emozionale, lega grandi eventi storici, comunità e storie personali.

Il romanzo riflette i valori di libertà e giustizia propri della Resistenza, temi ancora attuali e significativi.

 

“Quando i fuggiaschi uscirono, Caterina fece loro sapere che le sue porte sarebbero sempre state aperte.

Da quel giorno, quasi ogni settimana, le capitava di ospitare qualcuno.

Giocava con la morte, voleva vedere per quanto tempo avrebbe potuto resisterle. Era la sua resistenza”.