Ci auguravamo che la parola matrigna fosse stata espulsa dal vocabolario, eliminata come priva di senso logico, esautorata da quella crosta di spietatezza e crudeltà che l’ha accompagnata per secoli.
Eppure, questa figura continua a sopravvivere, sia nella memoria collettiva che nelle narrazioni contemporanee, trasformandosi e adattandosi ai tempi.
Dalle fiabe dei fratelli Grimm, dove la matrigna è un’icona del male assoluto, alla letteratura moderna, in cui emerge come un personaggio complesso e contraddittorio, la matrigna si rivela un prisma attraverso cui osservare le dinamiche familiari e sociali.
Questo articolo si propone di esplorare la sua evoluzione, da stereotipo fiabesco a ritratto umano e sfaccettato.
Nelle fiabe, il ruolo della matrigna è quello di incarnare un’opposizione rigida e intransigente, una barriera che l’eroe o l’eroina deve superare per crescere e affermarsi.
Questo archetipo si ritrova in molte culture e tradizioni narrative, dove la matrigna diventa il catalizzatore del viaggio di formazione del protagonista.
Ma cosa accade quando questa figura esce dal contesto fiabesco per entrare in quello più realistico e complesso della letteratura moderna?
Con l’evolversi della letteratura, la matrigna ha subìto una trasformazione significativa. Partiamo dal contesto fiabesco e proseguiamo un viaggio tra le pagine di questi personaggi femminili progressivamente rielaborati e sfaccettati nella narrativa moderna.
Vendette, maledizioni, avvelenamenti, poteri misteriosi e boschi oscuri dove ritrovare la strada sembra impossibile. In questo mondo cupo e inquietante, la purezza e l’innocenza dell’infanzia sono sempre protagoniste, immerse in un universo magico popolato da matrigne, streghe, gnomi, draghi, fate e diavoli.
Gli episodi più sinistri si intrecciano con naturalezza, creando atmosfere di mistero e terrore.
La grande forza di queste fiabe risiede nella severissima punizione del “cattivo”, nella rivincita dei più deboli sugli oppressori: una giustizia implacabile che non conosce sfumature tra il bene e il male, riflettendo perfettamente l’immaginario dissacrante dei fratelli Grimm.
Jameela non è particolarmente bella, ma è gentile e incredibilmente determinata.
Dopo la morte della madre, il padre decide di lasciare il loro povero villaggio e trasferirsi a Kabul in cerca di una vita migliore.
Ma, incapace di trovare un lavoro stabile, si risposa con una vedova ricca e priva di compassione.
Jameela è costretta a lavorare duramente in casa, fino a quando, su ordine della matrigna, viene abbandonata al mercato, trattata come un oggetto senza valore.
Ritrovandosi in un orfanotrofio, Jameela non perde la speranza: impara a leggere e scrivere, e studia con impegno, determinata a costruirsi un futuro di indipendenza, rispetto e autostima.
Ispirato a un fatto realmente accaduto, questo romanzo racconta una storia di resilienza e speranza, offrendo un messaggio di coraggio e determinazione.
Anna, orfana di madre, lascia il collegio per trascorrere le vacanze estive sul litorale laziale insieme al padre e alla matrigna.
Ancora bambina, ma nel corpo di una giovane donna, Anna esplora con ingenuità e curiosità il mondo degli uomini adulti.
Mentre il rombo degli aerei della guerra interrompe la placida routine di gite in pattino e incontri ai bagni Savoia, Anna si trova a confrontarsi con la sua femminilità e con l’ambiguità di un ambiente borghese ipocrita, che approfitta della sua innocenza.
Un romanzo intenso e attuale, scritto con uno stile essenziale e vibrante, che dà voce a una protagonista emblematica di tutte le donne raccontate da Dacia Maraini.
La vicenda narra di Maria, giovane costretta dalla matrigna a prendere i voti, che durante un breve soggiorno fuori dal convento scopre le gioie della vita e si innamora.
Tuttavia, il ritorno alla clausura segna l’inizio di una sofferenza che la consuma, portandola a soccombere al dolore d’amore.
Raccontata attraverso la forma epistolare, la confessione di Maria si dipana in pagine cariche di emozione, evocando un senso di esclusione e una profonda negazione della vita.
Anni Novanta. Sarah Leroy e Angélique Courtin si incontrano all’età di sette anni, in un piccolo cimitero di Bouville-sur-Mer, un paesino sulla costa della Manica.
Sarah è appena diventata orfana di madre e Angélique la accoglie in un abbraccio che diventa il simbolo di un’amicizia.
Quando una matrigna insensibile, ossessionata dalle apparenze, e i suoi due figli entrano a far parte della famiglia di Sarah, il rapporto tra le due ragazze inizia lentamente a trasformarsi.
Ma un giorno d’estate, Sarah scompare misteriosamente. La notizia sconvolge la Francia, ma nonostante il corpo di Sarah non venga mai trovato, un uomo viene condannato per il suo omicidio, e il caso viene chiuso.
Vent’anni più tardi, Fanny Courtin, giornalista e sorella di Angélique, torna a Bouville, accompagnata dalla figliastra Lilou, un’adolescente ribelle e problematica con la quale ha un rapporto turbolento.
Due figure di matrigne diverse, quella di Sarah e quella di Lilou, entrambe alle prese coll ruolo difficile di seconde madri di figlie non proprie.
Che si tratti di figure malvagie o di donne impegnate a trovare il proprio posto in famiglie allargate, le matrigne continuano a essere un elemento potente della trama.
D’altronde, i cattivi sono sempre i personaggi più interessanti delle narrazioni.
Ma mitologia, letteratura e storia ci hanno insegnato che la madre non è solo quella biologica: lupe, gatti, zie, matrigne, personaggi imperfetti in bilico tra il pregiudizio e il sacrificio.
Ogni legame materno, per quanto inaspettato, contribuisce a definire cosa significa davvero essere una madre: una scelta, un gesto, un atto d’amore.