Ri – POLITICA, SOCIETÀ E CULTURA

Alfabetizzazione: il romanzo di Mara Carollo tra analfabetismo e sete di cultura

L’alfabetizzazione in Italia ha attraversato un percorso complesso e articolato, segnato da trasformazioni sociali, politiche ed economiche.

Dall’Unità d’Italia nel 1861 fino ai giorni nostri, il Paese ha compiuto notevoli progressi nella lotta contro l’analfabetismo, affrontando sfide e implementando riforme che hanno modellato il sistema educativo nazionale.

 

L’analfabetismo nell’Italia post-unitaria

Nel 1861, all’indomani dell’unificazione, l’Italia presentava un tasso di analfabetismo estremamente elevato, con una media nazionale del 78%.

Le differenze regionali erano marcate: in Sardegna l’analfabetismo raggiungeva il 91%, mentre in Piemonte si attestava al 57%.

Questa disparità rifletteva le diverse condizioni socio-economiche e l’accesso all’istruzione nelle varie aree del Paese.

Per contrastare l’analfabetismo, furono introdotte diverse leggi mirate a promuovere l’istruzione obbligatoria.

La Legge Coppino del 1877 elevò da due a tre anni l’obbligo scolastico, prevedendo sanzioni per i genitori inadempienti.

Successivamente, la Legge Daneo-Credaro del 1911 trasferì la gestione delle scuole elementari dai Comuni allo Stato, uniformando i programmi e migliorando la qualità dell’insegnamento.

Nel periodo tra le due guerre, l’istruzione rappresentava una possibilità di riscatto per molti bambini, spesso figli di contadini cresciuti in un mondo di privazioni e lavoro precoce.

In un’epoca segnata dalla povertà e dall’incertezza, la scuola era una finestra su un universo più grande, un’opportunità per dare un nome alle cose, per comprendere e per sognare.

Imparare a leggere e scrivere non era solo un’abilità, ma un atto di emancipazione, un desiderio che trovava spazio ovunque: nei cortili polverosi, sulle lastre di vetro appannate, nei solchi della terra.

I bambini, affascinati dalle parole, le cercavano, le disegnavano, le sperimentavano come fossero chiavi per decifrare il mondo.

 

“Iniziò a vedere parole ovunque, quelle scritte per davvero e quelle che immaginava in sovraimpressione sulla superficie delle cose, come etichette che ne indicavano il nome. Le scriveva sulla ghiaia con i bastoncini o sul vapore dei vetri con il dito.

Un giorno il maestro le permise di portare a casa un paio di frammenti di gesso. Sul muro dietro casa scrisse parole fino a raschiarsi i polpastrelli contro la pietra.

Nina, Mario, mama, papa, stala, corte, gato, cavra, galina, bao.

A tutto corrispondeva una parola, ma il gesso era finito dopo un pezzettino piccolissimo di mondo”.

 

Questo brano, tratto dal romanzo di Mara Carollo Promettimi che non moriremo, ci immerge con delicatezza e intensità dentro un paesaggio in cui la sete di sapere diventava un bisogno quasi viscerale.

Acquista su

Nel secondo dopoguerra, e all’indomani del crollo del fascismo, il governo italiano fece fronte a questa emergenza emanando, il 17 settembre del 1947, un decreto-legge che istituiva le scuole popolari.

Questi interventi legislativi contribuirono a ridurre gradualmente il tasso di analfabetismo nel Paese.

 

Alfabetizzazione in Italia: lo straordinario ruolo del maestro Alberto Manzi

Un capitolo significativo nella storia dell’alfabetizzazione italiana è rappresentato dall’operato del maestro Alberto Manzi.

Tra il 1960 e il 1968, Manzi condusse il programma televisivo “Non è mai troppo tardi”, rivolto agli adulti analfabeti.

Attraverso lezioni semplici e coinvolgenti, spesso accompagnate da disegni e schemi, riuscì a insegnare a leggere e scrivere a circa un milione e mezzo di italiani.

La sua metodologia innovativa e il carisma personale resero l’istruzione accessibile a molti, contribuendo significativamente alla riduzione dell’analfabetismo nel Paese.

 

Progressi di alfabetizzazione e sfide contemporanee

Nel corso del XX secolo, l’Italia ha continuato a compiere progressi nell’alfabetizzazione.

Secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), il tasso di analfabetismo è diminuito drasticamente, passando dal 12,9% nel 1951 a percentuali sempre più basse nei decenni successivi.

Tuttavia, permangono sfide legate all’analfabetismo funzionale, ossia la difficoltà di comprendere e utilizzare in modo efficace le informazioni scritte nella vita quotidiana.

Un recente rapporto dell’Osce Piaac rivela che un adulto su tre in Italia comprende solo testi brevi.

Dunque nel nostro Paese oltre un terzo degli adulti ha capacità linguistiche o matematiche insufficienti.

Ciò conferma il ruolo fondamentale degli investimenti in istruzione nell’accrescere le competenze e migliorare le condizioni economiche e sociali.

 

Alfabetizzazione e riscatto sociale

La storia dell’alfabetizzazione in Italia non rappresenta solo un percorso di crescita e sviluppo, ma anche di riscatto sociale e di conquista della dignità.

Per intere generazioni, imparare a leggere e scrivere ha significato molto più che acquisire semplici competenze: è stato un modo per affrancarsi dall’emarginazione, per accedere a nuove opportunità e per dare voce ai propri pensieri.

Chiudiamo con un altro brano tratto dal libro di Mara Carollo, in cui l’autrice descrive con straordinaria intensità l’ansia crescente durante gli esami per la licenza elementare in epoca fascista.

Attraverso immagini vivide e dettagli autentici, il racconto restituisce un frammento di vita di un’epoca in cui l’istruzione era un traguardo ambito e spesso sofferto.

Consigliamo la lettura di questa straordinaria opera prima a chi ama le storie di determinazione, a chi è affascinato dai racconti di vita vissuta e a chi desidera immergersi in un’epoca in cui il sapere era una conquista sudata, ma profondamente significativa.

Nel giugno del millenovecentotrentasei, mentre l’intero Paese era mobilitato nella Battaglia del Grano, compresi i bambini, che a scuola guardavano crescere di giorno in giorno le spighe del loro piccolo orticello, chiese un permesso in fabbrica per andare a sostenere a Novara l’esame di licenza elementare. Nell’affollatissima aula, le donne si contavano su una mano, la maggior parte erano ragazzi e padri di famiglia. Li osservava sudare copiosamente, per l’affollamento della stanza e per la difficoltà della prova.Tanti di loro parevano non aver mai tenuto in mano una penna, la rigiravano tra le dita come se ne fossero spaventati, molti si asciugavano le gocce sulla fronte con la manica della camicia buona, messa per l’occasione.