Il gap generazionale è la distanza culturale, valoriale e comunicativa che separa persone di età differenti.
Il divario generazionale è sempre esistito, è un connotato imprescindibile che si concretizza anche in una spinta sociale.
Ogni generazione ha affrontato sfide, cambiamenti e innovazioni che l’hanno distinta dalla precedente.
Il solo fatto di essere venuti al mondo in una determinata epoca definisce pensiero, azione, gusti e abitudini.
Le differenze tra le generazioni non si limitano semplicemente al passaggio del tempo, ma riflettono anche il progresso tecnologico, i mutamenti sociali e culturali, le guerre, le scoperte scientifiche e i cambiamenti economici.
Nella prima metà del Novecento, con le due guerre mondiali, i giovani, traumatizzati dai conflitti e dall’orrore della guerra, cercarono di rompere con le convenzioni sociali e morali precedenti.
La cultura giovanile degli anni ‘60, con il movimento hippie e la rivoluzione sessuale, divenne il simbolo dei giovani che volevano sfidare l’autorità e le norme stabilite, creando una frattura con gli anziani che avevano vissuto in tempi di guerra e restrizioni.
Fu in questo contesto storico che nacque il termine gap generazionale, per definire la contrapposizione ideologica tra le due generazioni.
Ogni periodo storico ha dunque portato con sé un “divario” che non è solo una questione di età, ma di esperienze e visioni del mondo completamente diverse.
I “figli” nascono in contesti diversi, arricchiti o limitati dai cambiamenti sociali, economici e tecnologici che li circondano.
Ogni nuova generazione ha storicamente cercato di portare a compimento le sfide del proprio tempo.
Il rifiuto del passato e le divergenze con chi li ha preceduti sono lo strumento per creare il futuro.
Oggi, il gap generazionale è racchiuso in un termine diventato simbolico: “boomer”, l’aggettivo che ha assunto una connotazione ironica, identificando chi appare distante dai cambiamenti sociali e tecnologici moderni.
In realtà, i baby boomer sono i nati tra il 1946 e il 1964, ma ormai il termine viene utilizzato dai Gen Z (nati tra 1997/2012) per definire tutti i portatori di una mentalità rigida e ancorata al passato.
Il divario, oggi, non è più solamente generazionale, ma contrappone chi ha un mindset “vecchio” o poco aperto all’innovazione.
Indipendentemente dall’età anagrafica, il gap moderno contrappone chi è pronto ad adattarsi ai cambiamenti, ad abbracciare nuove tecnologie da chi non comprende la velocità con cui la tecnologia sta cambiando il mondo.
Il gap generazionale è un fenomeno inevitabile che accompagna il susseguirsi delle epoche e delle società, determinando differenze di valori, mentalità e stili di vita tra le diverse generazioni.
Nel libro di Mara Carollo, Promettimi che non moriremo, questo tema emerge con forza, intrecciandosi con la storia d’Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino agli anni Ottanta.
Attraverso la narrazione della storia di Caterina, il romanzo racconta non solo l’evoluzione del Paese, ma anche le fratture e le incomprensioni tra le generazioni che si succedono.
Caterina dapprima sentirà forte il divario culturale con sua madre e con le donne che hanno scelto di consumare vite sempre uguali e infelici. Poi vivrà il gap con i suoi figli, emancipati ed immersi in un epoca di cambiamenti repentini.
«Tutte le ragazze vogliono sposarsi.»
«Io no di certo. Guarda le nostre mamme, Mario. Lavorano e basta, e si consumano nelle preoccupazioni per i figli. Dopo il matrimonio diventano tutte uguali, tutte vestite di nero, tutte con la treccia arrotolata sulla nuca. Non ce n’è una che sia felice».
Poi anche Caterina, donna evoluta per il contesto storico e geografico di provenienza, finirà per scontrarsi con i suoi figli.
“Caterina si voltò e si accorse che non c’era un solo dettaglio di lui che non le desse fastidio. La barba lunga, i jeans larghi in fondo, la copia del Manifesto, arrotolata sotto il braccio. Solo la magrezza e il collo sottile glielo rendevano vagamente familiare. Si ritrovò a chiedersi chi fosse quell’estraneo in casa sua e abbandonò le cautele che, fino a quel momento, aveva riservato al figlio.”
Il gap generazionale nel libro, si manifesta anche a livello educativo:
“Ne aveva abbastanza delle maleducazioni dei figli. Avevano bisogno di essere messi in riga con quattro ceffoni, esattamente come suo padre aveva fatto con lei quando ce n’era stato bisogno”.
In questo passo, il riferimento ai “quattro ceffoni” indica come la protagonista avverta quasi un senso di nostalgia per un tempo in cui i ruoli sembravano più chiari e definiti.
“Antonia portava una gonna cortissima.
«E quella da dove viene?» domandò Caterina indicandola. «Me l’ha prestata Sonia. Sua mamma è moderna, non è bigotta come te» disse, uscendo”.
L’uso del termine “bigotta” da parte della figlia della protagonista è significativo perché non si limita a descrivere la madre come conservatrice, ma la etichetta come chiusa mentalmente, incapace di comprendere l’evoluzione dei tempi.
Promettimi che non moriremo è un libro intenso, capace di affrontare con profondità e sensibilità diverse tematiche, tutte ugualmente toccanti.
Tra queste, emerge il gap generazionale, che si manifesta nei conflitti tra genitori e figli, tra chi si aggrappa alle certezze del passato, pur avendo trascorso una vita intera a rincorrere il proprio cambiamento, e chi spinge inevitabilmente verso il nuovo.