La storia dell’emancipazione femminile è stata un percorso in salita, disseminato di pregiudizi e ostacoli culturali profondamente radicati.
Si pensi solo alla dichiarazione del Prof. Mingazzini sul Giornale d’Italia del 7 novembre 1911:
“La donna è inferiore all’uomo perché il suo cervello pesa cento grammi in meno di quello dell’uomo”.
Affermazioni come questa riflettono il pensiero dominante dell’epoca, che relegava la donna a un ruolo subalterno sulla base di presunte differenze biologiche.
Se pensiamo che si tratti di un’assurdità isolata, conducibile a una forma mentis imperante a inizio secolo scorso, basta guardare alla storia del diritto di famiglia italiano e agli usi e costumi della società per renderci conto di quanto la subalternità femminile sia stata radicata fino ad un’epoca assai recente.
Il primo pensiero va immediatamente al diritto al voto, che le donne del nostro Paese hanno ottenuto solo nel 1945, potendo esercitarlo per la prima volta nel 1946, quasi un secolo dopo gli uomini.
Alle sei e mezzo Caterina era pronta per andare a compiere il suo dovere di cittadina. Se le nuove forme glielo avessero consentito, avrebbe messo il vestito nuovo, come aveva fatto il nonno la prima volta che era andato a votare, invece, nonostante già iniziasse a fare caldo, si nascose dentro un grande scialle, perché non le piaceva che le persone la vedessero così gonfia.
Rigirò la fede attorno all’anulare. Le dita erano ogni mattina più grosse e l’anello iniziava darle fastidio. È la gravidanza, Nina, le aveva spiegato la Lucia, con il quarto figlio, appena nato, tra le braccia. Ma non l’avrebbe tolta proprio quella domenica, perché doveva scendere a Calvene per votare e la gente, vedendola con la pancia e senza anello, avrebbe pensato male
Cit. da Promettimi che non moriremo, Mara Carollo.
Ma macroscopiche disuguaglianze sono perdurate fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975.
Precedentemente, infatti, il marito era considerato il capo famiglia e aveva il potere decisionale su questioni fondamentali, inclusa la gestione dei beni della moglie.
Fino al 1963, alle donne era precluso l’accesso alla magistratura, poiché si riteneva che non avessero l’equilibrio necessario per giudicare.
Ancora più scioccante, fino al 1981 nel codice penale italiano esisteva il delitto d’onore, che prevedeva pene ridotte per un uomo che uccideva la moglie, la figlia o la sorella per salvaguardare l’”onore” familiare.
Anche nella vita quotidiana, gli usi e costumi riflettevano questa disuguaglianza.
Le donne erano spesso educate fin da piccole a occuparsi esclusivamente della casa e dei figli, mentre il lavoro fuori dalle mura domestiche era visto come un’eccezione, e non una scelta.
Il matrimonio era considerato il destino naturale di una donna e il divorzio è stato introdotto solo nel 1970, dopo grandi battaglie culturali e politiche.
Dunque, se oggi ci sembra che la parità di genere non sia ancora una realtà compiuta, è necessario fermarsi a riflettere su quanta strada verso l’emancipazione femminile sia stata percorsa.
Le donne hanno saputo scrollarsi di dosso secoli di discriminazioni e stereotipi, trasformando quella che un tempo era una condizione di subordinazione in un percorso di autodeterminazione e conquista dei diritti.
L’emancipazione femminile è stata capace di lasciarsi alle spalle aberrazioni giuridiche e culturali che per troppo tempo hanno giustificato la disparità tra i sessi.
Queste conquiste, però, non sono mai state concesse, ma ottenute attraverso lotte lunghe e spesso dolorose.
Dalle suffragette che hanno sfidato arresti e violenze per ottenere il diritto di voto, alle donne che hanno riempito le piazze per rivendicare pari diritti nel lavoro e nella famiglia, la storia è segnata da battaglie fondamentali.
In Italia, il femminismo degli anni ‘60 e ‘70 ha portato a quelle riforme epocali di cui abbiamo già accennato come la legalizzazione del divorzio, la riforma del diritto di famiglia e la tutela contro la violenza domestica.
Si può sapere cosa fanno le femministe?, gli domandò una sera. Francesco, che stava guardando il telegiornale sul divano, spense la televisione. Si trovano a discutere dei problemi delle donne, rispose carezzandosi la barba. Cioè? Quali esattamente?. Vogliono gli stessi diritti degli uomini, sono stanche di essere sottomesse all’autorità maschile. A Caterina fece sorridere che parlasse delle donne come di un’entità astratta, senza considerare che anche lei apparteneva alla categoria. E poi vogliono essere padrone del proprio corpo. Ad esempio, vogliono poter decidere se e quando fare i figli. Cose del genere, insomma, concluse, allargando le braccia.
I brani presentati sono tratti da un romanzo straordinario, Promettimi che non moriremo, opera prima di Mara Carollo.
Il libro racconta la vita di Caterina, intrecciandola con la storia di un Paese in trasformazione.
Dal termine della Prima guerra mondiale fino agli anni ’80, il romanzo dipinge non solo i cambiamenti della società, ma anche l’evoluzione del ruolo della donna e il cammino verso l’emancipazione femminile.
La storia ci insegna che la parità di genere non è un traguardo, ma un processo in continuo divenire, e ogni passo avanti è il risultato di una determinazione che non si è mai arresa.
Ancora oggi, nei movimenti che chiedono parità salariale, rappresentanza politica e il contrasto alla violenza di genere, si ritrova lo stesso spirito di chi ancora lotta per ottenerli.