“Ci vogliamo vive”, così riportano striscioni e cartelli delle tante e continue marce e manifestazioni indette contro la violenza sulle donne.
Secondo il Ministero della Salute (Fonte Istat), i numeri della violenza contro le donne – omicidi, violenze fisiche e sessuali – sono numeri enormi che, oltre a un importante problema di sanità pubblica, rappresentano una violazione dei diritti umani di dimensione devastante.
Nel mondo, la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3, mentre i dati Istat mostrano che in Italia il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale e che le forme più gravi sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici, mentre gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner.
Inoltre, il Report “Violenza sulle donne” del Servizio analisi criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale, aggiornato all’8 marzo 2024, evidenzia che nel 2023 le vittime di violenza sessuale sono state 6.062, di cui il 91% donne.
Sono dati che inquietano e che sconvolgono, soprattutto se pensiamo che questi numeri escludono le tante vittime di violenza psicologica o le vittime di stalking che subiscono comportamenti persecutori spesso non denunciati o non compresi fino in fondo.
Ogni forma di violenza ha effetti negativi: quando non interrompe la vita stessa, causa ripercussioni sulla salute fisica e mentale della vittima, può determinare isolamento, impossibilità a lavorare, a prendersi cura di sé stesse, oltre a causare innumerevoli disagi alle persone vicine.
Cosa si può fare per arginare un fenomeno così complesso, diffuso e radicato nelle culture?
Sensibilizzare è il concetto chiave per comprenderlo prima e ridurlo poi, nella consapevolezza che il percorso è lungo e deve iniziare dall’educazione alla non violenza, al rispetto che si impara da piccoli, all’accoglienza e all’empatia.
Come non ricordare il tragico femminicidio di Giulia Cecchettin e come non citare le parole della sorella Elena, che in poche lucide righe racchiude il peso sociale del fenomeno:
«Turetta non è un mostro, ma un “figlio sano della società patriarcale” e “il femminicidio non è un delitto passionale, ma di potere”.»
Il germe ha origini antiche, dunque, sorge nelle relazioni strutturate da secoli in ruoli stereotipati basate sulla non libertà, la non responsabilità e la disparità, dove le differenze non solo non sono valorizzate, ma addirittura non vengono riconosciute.
La violenza di genere è un fenomeno praticamente congenito alle società, profondamente radicato, che continua ad alimentarsi fin dalle antiche disuguaglianze tra uomini e donne. Ed è il non riconoscimento culturale del problema, e la sua conseguente non lotta, che concorrono a perpetuarlo.
La soluzione deve partire dalla presa di coscienza della disuguaglianza, come un invito fin dall’infanzia a una rivoluzione gentile, per dirla citando Dacia Maraini.
Il lavoro di sensibilizzazione e prevenzione, fondamentale per contrastare la violenza maschile sulle donne e l’educazione a rapporti paritari, deve per forza procedere attraverso la chance che hanno le nuove generazioni di costruire relazioni non discriminanti, inclusive, consapevoli delle differenze.
Tutta la vita che resta è il libro di Roberta Recchia che consigliamo di leggere a chi desidera immergersi in una storia di violenza femminile raccontata con umana tenerezza e stimolare una riflessione personale.
Marisa e Stelvio Ansaldo vivono nella Roma degli anni Cinquanta, innamorati, lavoratori, fiduciosi nella bellezza della vita e della loro famiglia fino a quando l’adorata e bellissima figlia sedicenne Betta viene uccisa sul litorale laziale, e tutti perdono il proprio centro.
Con un tone of voice delicato, la narrazione si snoda con dolcezza attraverso tematiche crude e profondo dolore, esplorando la cultura dei pregiudizi, i meccanismi della vergogna, del lutto, dei deficit di comunicazione.
La lettura di un romanzo come questo sul tema concede alle vittime di ritrovare una forma di rappresentazione e visibilità attraverso la storia, dando loro una voce, e consente ai lettori una maggiore immersione emotiva che meglio aiuta a comprendere le radici culturali del fenomeno.
Tutta la vita che resta non è solo un bellissimo romanzo di intrattenimento ma anche uno strumento che esplora le cause sociali, culturali e psicologiche alla base del problema, capace di aiutare il lettore a capire come gli stereotipi di genere, le norme patriarcali e la disuguaglianza strutturale contribuiscano a perpetuare la violenza.