Se avete letto Un gatto per i giorni difficili o se avete intenzione di leggerlo e di farvi trasportare in un modo magico e affascinante, coglierete nella prima storia delle 5 che compongono il libro, un aspetto della cultura giapponese che vi farà riflettere: la condizione del lavoro.
Il libro si apre raccontandoci di Shuta, un venticinquenne che lavora in una rinomata società di brokeraggio e vive l’oppressione di un ambiente lavorativo estremamente tossico, tanto da farlo tormentare nel dubbio su quale sia la scelta giusta: licenziarsi o cercare un modo per restare in azienda salvaguardando il proprio benessere?
- Non possono lasciarti a casa da un giorno all'altro. Anche i dipendenti hanno dei diritti.
- Be', sì. Questo è vero, però… Però, essere trattati come dei buoni a nulla tutti i giorni equivaleva a non avere diritti. E comunque, se effettivamente era ancora un impiegato di quella società, stava facendo delle assenze ingiustificate, e se l'avessero licenziato non avrebbe potuto recriminare.
Questo brano ci lascia intuire come in Giappone il mondo del lavoro possa diventare un incubo.
Vogliamo introdurvi al tema complesso della condizione del lavoro in Giappone con la delicatezza dell’autrice del libro, Ishida Syou, e dunque lo facciamo partendo da una parola bella e soffice come un cuscino: “Inemuri”.
Avete mai sentito parlare della pratica di schiacciare un pisolino in ufficio o in treno al rientro dal lavoro? In Giappone ciò non è semplicemente tollerato ma è lodevole perché significa che si è profuso un tale impegno nel compiere le proprie attività da aver bisogno di rigenerarsi attraverso il sonno.
I giapponesi sono laboriosi, tanto da destinare pochissime ore al giorno al sonno, così praticano l’inemuri per sfruttare tutti i momenti utili per riposarsi.
Dormire in treno è un po’ come dire: “Sto solo chiudendo gli occhi per pensare meglio”, una forma di brainstorming avanzato, in un certo senso.
Ma c’è un altro termine, più stridente e duro, una sola parola che ha il significato di morte improvvisa per troppo lavoro ed è “Karoshi”.
Sono troppi i casi di lavoratori deceduti a causa di infarti o ictus, spesso correlati a stress eccessivo o esaurimento che hanno sollevato un dibattito importante sulla sostenibilità del sistema lavorativo giapponese.
Storicamente, il lavoro in Giappone è stato influenzato da un profondo senso di disciplina, dedizione e lealtà verso l’azienda. Difatti, il concetto di “Shūshin koyō” (impiego a vita) ha dominato la cultura aziendale giapponese per decenni.
Questo sistema prevedeva che i dipendenti rimanessero fedeli alla stessa azienda per tutta la loro carriera, con la garanzia di stabilità lavorativa, promozioni graduali e sicurezza economica.
In cambio, ci si aspettava che i lavoratori dedicassero lunghi orari di lavoro, spesso ben oltre le ore contrattuali, e che dimostrassero un impegno totale verso l’azienda, fino al punto di anteporre il lavoro alla vita personale.
Il contratto più diffuso in Giappone è quello da “seishain”: secondo questa tipologia la giornata lavorativa è di 8h e la pausa pranzo. Le ore di straordinario, che spesso superano le 80 ore mensili, dovrebbero essere pagate a parte, ma spesso ciò non avviene.
I giorni di ferie base sono 10, ma con gli anni di servizio possono aumentare.
Negli ultimi anni, il Giappone ha dovuto confrontarsi con una serie di sfide significative. Il declino demografico, con una popolazione sempre più anziana e una natalità in calo, ha portato a una carenza di manodopera.
L’invecchiamento della popolazione ha fatto sì che il Paese si trovi ad affrontare un futuro in cui il numero di persone in età lavorativa sia drasticamente ridotto, mentre la richiesta di servizi, soprattutto nel settore sanitario, cresce.
Il governo giapponese ha cercato di affrontare questa crisi promuovendo politiche per incoraggiare una maggiore partecipazione femminile alla forza lavoro.
Tradizionalmente, le donne giapponesi sono relegate al ruolo di “ryōsai kenbo” (buona moglie, madre saggia) e dunque svolgono attività di lavoro domestico o part-time.
Ciò è riconducibile alle aspettative sociali e alla mancanza di supporto in termini di congedi parentali o servizi di assistenza all’infanzia.
Tuttavia, le iniziative per migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, come il “Womenomics” (un piano volto a potenziare la partecipazione femminile all’economia), stanno cercando di cambiare questa dinamica, anche se con progressi limitati.
La natura altamente competitiva del mercato del lavoro giapponese crea una pressione intensa sugli individui affinché ottengano risultati eccezionali.
Questa pressione è particolarmente evidente nei settori finanziario, tecnologico e manifatturiero, dove la competizione è feroce.
La globalizzazione e la digitalizzazione hanno spinto il Giappone a ripensare il suo modello di lavoro tradizionale.
Sempre più aziende stanno iniziando ad adottare approcci più flessibili al lavoro, tra cui l’introduzione di contratti a tempo determinato, lavoro part-time e, più recentemente, il lavoro a distanza.
Nonostante questi cambiamenti, permane una forte resistenza alla modifica della cultura lavorativa radicata.
La tradizione giapponese dell’ “orario prolungato in ufficio”, in cui la presenza fisica è ancora vista come un segno di dedizione, continua a ostacolare una vera adozione di modelli di lavoro più moderni e flessibili.
La Terra del Sol Levante è comunque la terza potenza economica a livello mondiale, dopo Stati Uniti e Cina, e ha un tasso di disoccupazione molto basso che contribuisce a definirla come nazione estremamente produttiva.